Roberto Freak Antoni, il genio ribelle della musica italiana
Che cosa ti vuoi aspettare da un paese che ha la forma di una scarpa?

Mai banale, sempre pungente, polemico e soprattutto ironico, era Roberto Freak Antoni (Bologna, 16 aprile 1954 – Bologna, 12 febbraio, 2014). Artista polivalente, è stato lo storico leader degli Skiantos, band innovativa nata a Bologna a cavallo del movimento del ’77, a metà fra punk e demenzialità. Attraverso i libri e soprattutto le canzoni, ci ha lasciato un patrimonio artistico e culturale entrato nell’immaginario collettivo di tutti. La sua sottile ironia e la sua arte d’avanguardia hanno fatto di questo geniaccio una vera e propria icona.
Esponente massimo del ribaltamento del pensiero, ci ha insegnato, con la massima ironia, a guardare le cose da un altro punto di vista, da un’altra prospettiva. «Dio c-è…ma ci odia!» «Il sesso è peccato…farlo male» e anche «Toccatevi, perché l’amore è cieco». Citazioni storiche che hanno caratterizzato l’artista, autore di canzoni rock demenziale e anche di libri piuttosto impegnati come Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti e Per sopravvivere alla tossicodipendenza.

Di Freak si ricorda, oltre alle sue canzoni geniali e ai suoi libri, anche la sua autoironia e soprattutto l’arte d’avanguardia che portava sul palco. Non era da tutti quello che faceva insieme agli Skiantos nei concerti, ancora oggi ricordati come trip all’insegna del surreale e dell’assurdo. Lancio di ortaggi, parolacce, provocazioni al pubblico e t-shirt con slogan di ogni tipo, fino alla sperimentazione nel ’79 in cui portarono una cucina sul palco per prepararsi degli spaghetti invece di cantare. «Non capite un cazzo, questa è l’avanguardia, siete un pubblico di merda». Niente di cattivo, solo un’ironia ben cucinata e poi inserita in un manifesto rock che è Largo all’avanguardia.
Anche le sue canzoni sono piene di frasi profonde e divertenti, per lo più surreali, sarcastiche, precise e con un linguaggio attaccato al quotidiano, alla follia, alla vita: uno slang che diviene una lingua vera e propria, al punto da meritarsi anche la stima di svariati linguisti. Manifesti rock e spesso veri e propri tormentoni: tutti abbiamo cantato almeno una volta Mi piacciono le sbarbine, Gelati o la gettonatissima Kinotto.
Nemmeno un brutta malattia fermò l’animo libero e ribelle di Freak. Nella primavera del 2012, nel suo ultimo concerto con gli Skiantos, racchiuse la sua avventura con la band in un
35 anni di grandi insuccessi, anni precari e sempre dalla parte dei perdenti… l’avanguardia è sempre l’avanguardia, l’avanguardia è a perdere e noi sempre pessimi!

A seguire applausi a scena aperta e anche commozione, sentimenti e schematicità sicuramente atipici nel mondo di Freak e degli Skiantos.
Dopo la sua morte, come avviene sempre, il suo mito ha avuto risalto nazionale. Molte cover di tanti colleghi, molte band nate sulla scia degli Skiantos e tante manifestazioni in onore di Freak. Sembra che tutti adorassero quella figura spesso tenuta lontana dai riflettori importanti, quasi a volerlo nasconderlo, perché troppo crudo, perché troppo vero.
Di recente, l’associazione WeLoveFreak ha espresso la volontà di realizzare una statua in suo ricordo tramite una campagna di crowdfundig. I suoi fans, i suoi colleghi e i gli amici contribuiranno al finanziamento dell’opera, affinché il suo ricordo e la sua arte siano sempre vivi.
Sono pochi gli artisti che hanno avuto o hanno la genialità di Freak. Tutti potranno provare ad imitarlo o magari a trovarne un’alternativa demenziale e geniale sufficientemente all’altezza: rimarranno, però, tutti tentativi futili. Nessuno dovrà sforzarsi di essere il nuovo Freak, nessuno dovrà in qualche patetico talent show o nell’ambiente sintetico sanremese, sforzarsi di ricreare un’icona come lui.
Perché Freak era unico e perché in fondo non se n’è mai andato.
Giammarco Rossi per MIfacciodiCultura