Unfinished: Thoughts Left Visible: quando un’opera d’arte è davvero finita?

L’ultimo tocco e la separazione sono i traumi più intensi per un artista. Molti lavorano freneticamente, ultimando un’idea in un giorno oppure protraendola fino alla propria morte, molti fissano disarmati un proprio lavoro per ore o per tutta una vita. Le idee possono esaurirsi nel momento in cui si cerca di dar loro concretezza, o si può avere l’impressione che non vogliano piegarsi ai nostri comandi.
L’artista è amorevole o rabbioso di fronte alla sua creatura, può angosciarsi per una scadenza, se deve partecipare ad una esposizione. Ma il cordone ombelicale prima o poi va tagliato: si può accantonare il lavoro nell’angolo di una stanza, lo si può distruggere, lo si può donare al mondo anche se non soddisfa o anche se il tema non è stato indagato quanto si sarebbe voluto, o può sopraggiungere la morte.
Lo spazio Met Breuer del Metropolitan Museum of Art di New York, con l’esposizione Unfinished: Thoughts Left Visible – dal 18 marzo al 4 settembre – indaga proprio tutte queste ipotesi. Quasi 200 opere rimaste incompiute, dal Rinascimento ad oggi – tra i più celebri Tiziano, Rembrandt, Turner, Cézanne, Pollock, Janine Antoni, Rauschenberg –, suddivise in due categorie: i volontariamente non finiti e i lavori interrotti accidentalmente.

Esistono poi dei casi limite, rappresentati da Tiziano, Jan van Eyck e Leonardo Da Vinci: ad esempio, La Scapigliata è da considerarsi come un disegno preparatorio o un’opera a sé stante? Come reagiamo di fronte a un disegno di van Eyck colmo di ripensamenti? Tiziano non ha avuto tempo di concludere un dipinto per le troppe scadenze e semplicemente ci sarebbe tornato più avanti, se non lo avesse colto la morte?
L’arte è un lascito di libertà: quei pensieri lasciati visibili attraverso l’inconcluso donano ai posteri la possibilità di chiudere il cerchio, come anche la libertà di non soffermarsi e guardare altrove.
Un Pollock firmato e datato non ci dà comunque l’idea che quello sgocciolio possa ripetersi in eterno, anche se l’autore lo ha delimitato e a un certo punto ha detto «stop, sei perfetto così, ti ho finito»?

Antoni Gaudì, già il giorno in cui venne travolto da un tram recandosi alla Sagrada Familia, era persuaso di non poter finire questa sua grande opera: ad oggi nemmeno i suoi successori hanno portato a termine il complesso ed è ancora un continuo aggiungere, ampliare, rifinire. È un progetto, a suo modo, eternamente non finito.
Se in un dipinto – prendiamo un esempio iperrealista – ci fosse un tassello lasciato bianco, il nostro occhio turbato da quella mancanza riuscirebbe comunque ad avere una visione d’insieme: vale lo stesso nei confronti dell’espressionismo o, soprattutto, dell’astratto?
E quanta emozione di fronte alla Pietà Rondanini: morendo, Michelangelo – molto noto per il suo non-finito, voluto – non ha più avuto modo di portare a termine i suoi ripensamenti. La conclusione dell’idea del Maestro è intrappolata nella materia: per sempre.
Janine Antoni si è ritratta in Lick and Lather, un lavoro di fatto concluso, ma cioccolato e sapone sono deperibili: non si può però dire «basta così, fermati» allo scorrere del tempo, la natura si modifica anche al di là delle nostre azioni. Un caso analogo, i ritratti di sangue di Marc Quinn.
A questo punto, quando un’opera d’arte è davvero finita? Sempre e mai.
L’opera d’arte è un atto di amore, un volo ut sis: voglio che tu sia ciò che sei. E ciò che potresti diventare.
Annalisa La Porta per MIfacciodiCultura
Il “non finito” spesso è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, speculari, inclusivi sono state usate anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Michelangelo nella scultura diede origine al termine. L’Adorazione di Leonardo è un non finito e non un opera incompleta, perché l’autore si ritrasse sul bordo destro (per chi guarda), mentre si dirigeva a Milano. Si rappresentò mentre usciva dal quadro, lasciandolo apparentemente incompiuto. La ricorsività è il sigillo del genio, come Archimede che per provare i suoi amici greci matematici gli mandava da dimostrare dei teoremi errati, e loro sostenevano di averne trovato la dimostrazione. Cfr. Ebook/kindle: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.